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L'Eccidio delle Fosse Ardeatine è il massacro compiuto a Roma dalle truppe di occupazione della Germania nazista il 24 marzo 1944 ai danni di 335 civili e militari italiani.
Ad organizzare ed eseguire la strage furono l’ufficiale delle SS Herbert Kappler, all'epoca anche comandante della polizia tedesca a Roma, il capitano Erich Priebke e Albert Kesserling.
L'eccidio maturò come atto di rappresaglia per vendicare 33 militari tedeschi morti in un attentato partigiano a Via Rasella il 23 marzo.
I nazisti, dietro ordine diretto di Hitler, applicarono alla lettera il principio di fucilare 10 ostaggi italiani per ogni tedesco ucciso. Non si conoscono ancora i motivi precisi per cui vennero inseriti 5 nomi in più alla lista.
Le Fosse Ardeatine, antiche cave di pozzolana site nei pressi della Via Ardeatina, furono scelte quali luogo dell'esecuzione e per occultare i cadaveri dei 335 uccisi, di cui 39 militari, 120 partigiani e 13 mai identificati. Tra le vittime anche 75 di religione ebraica. Le restanti erano civili, in massima parte prelevati dal carcere di Regina Coeli o direttamente sul posto a Via Rasella.
L'esecuzione, che avvenne con un colpo alla nuca, fu di proporzioni enormi tanto che gli stessi comandi nazisti la resero pubblica, insieme all'attentato partigiano, solo a cose fatte e dopo aver fatto saltare le cave con delle mine per rendere più difficoltoso il ritrovamento dei corpi.
Dopo la liberazione di Roma e conclusa la guerra, i responsabili della strage furono sottoposti ai processi della giustizia civile e militare. Kappler fu condannato all'ergastolo nel maggio del 1948, mentre Priebke, ritrovato dopo anni di latitanza in Argentina, finì sul banco degli imputati nel 1996 e condannato all'ergastolo l'anno successivo.
Per la sua efferatezza, l'alto numero di vittime, e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, l'eccidio delle Fosse Ardeatine è diventato l'evento simbolo della rappresaglia nazista durante il periodo dell'occupazione.
Bibliografia e approfondimenti: