Il 10 giugno 1924 il deputato
Giacomo Matteotti, segretario del Partito Socialista Unitario, venne sequestrato ed ucciso a Roma da alcuni elementi della polizia segreta fascista, la famigerata
Ceka.
Tutto era iniziato il 6 aprile dello stesso anno, giorno delle elezioni politiche che video una forte affermazione del partito fascista. La campagna elettorale era stata funestata da innumerevoli episodi di violenza compiuti dai fascisti: pestaggi, intimidazioni di ogni genere e probabilmente anche brogli, consegnarono al partito il 63% dei voti.
Dopo aver raccolto una vasta documentazione, il 30 maggio Matteotti tenne alla Camera un durissimo discorso, denunciando in Parlamento le illegalità compiute dai fascisti prima e durante le elezioni e chiedendo che l'esito fosse invalidato. Pochi giorni dopo, il 10 giugno, fu rapito ed ucciso. Il cadavere, seppellito in una fossa in località Quartarella, a pochi chilometri da Roma, fu ritrovato solo 2 mesi dopo.
Per protesta, il 27 giugno i deputati dei partiti di opposizione, in tutto 135, abbandonarono l'aula di Montecitorio. Questa scelta prese il nome di "secessione dell'Aventino", in ricordo della famosa circostanza nella quale i plebei dell'antica Roma, in lotta contro i patrizi, avevano lasciato la città per ritirarsi sul colle romano. In assenza degli oppositori, Mussolini rinviò i lavori della Camera a tempo indeterminato. Da quel momento poté agire senza controlli.
Il 3 gennaio 1925, alla riapertura delle Camere, il capo del governo pronunciò un discorso nel quale si assumeva la responsabilità morale delle violenze provocate dagli squadristi e della stessa uccisione di Matteotti. Una simile ammissione avrebbe dovuto portare alla messa in stato di accusa del capo del governo davanti al Senato, costituito in Alta Corte di Giustizia. Nessuno fece nulla. Era l'inizio della dittatura.