Se nel Medioevo rappresaglia aveva il significato di riprendere, anche con la forza, ciò che bastava ad essere risarciti del danno subito, durante la Seconda Guerra Mondiale il termine assunse un'ulteriore e diversa accezione: la rappresaglia era un'azione o misura punitiva violenta e disumana, indiscriminata, adottata dalla potenza occupante nei confronti della popolazione civile del territorio occupato, quando questa abbia causato qualche danno ai propri funzionari o militari. Tipico il caso delle rappresaglie attuate dai nazisti e dall'esercito tedesco nei riguardi delle popolazioni dei paesi occupati.
In Italia, durante gli anni dell'occupazione tedesca (1943-1945), la rappresaglia non si configurò solo come atto violento in risposta alle azioni partigiane, ma talvolta venne attuata preventivamente contro la popolazione inerme, al fine di terrorizzare i civili e di indebolire il loro sostegno alla Resistenza.
Bibliografia e approfondimenti:
- Claudio Pavone, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1991;
- Lutz Klinkhammer, Stragi naziste in Italia. La guerra contro i civili (1943-1944), Donzelli Editore, Roma 1997;
- Roy Gutman, David Rieff (a cura di), Crimini di guerra. Quello che tutti dovrebbero sapere, Contrasto-Internazionale, Roma 1999;
- Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, 2 voll., G. Einaudi Editore, Torino 2001;
- Massimo Storchi, Anche contro donne e bambini. Stragi naziste e fasciste nella terra dei fratelli Cervi, Imprimatur, Reggio Emilia 2016.
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