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Nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo approvò - 19 favorevoli, 7 contrari, 1 astenuto - un ordine del giorno presentato da Dino Grandi (presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni), con il quale si decise "l'immediato ripristino di tutte le funzioni" delle istituzioni statali e si conferì al sovrano l'effettivo comando delle forze armate. Sfiduciando in questo modo Benito Mussolini, capo del Governo, la votazione decretò di fatto la caduta del regime.
Nel pomeriggio del 25 luglio il duce - che la sera innanzi aveva mostrato una rassegnazione e una passività per lui insolite - si recò dal sovrano a Villa Savoia, rassegnò le sue dimissioni e, arrestato dai carabinieri, fu condotto prima a Ponza e poi a Campo Imperatore, sul Gran Sasso. Al suo posto fu nominato il maresciallo Pietro Badoglio.
Quando la radio diede la notizia della destituzione di Mussolini folle esultanti si riversarono per le strade: in tutto il paese si susseguirono manifestazioni pacifiche di gioia per la convinzione dell'imminente fine della guerra, del ritorno a casa degli uomini, della fine delle difficoltà economiche. I simboli del regime furono abbattuti, i fascisti sembravano scomparsi. Un decreto di Badoglio sciolse il Partito Nazionale Fascista e abolì il Gran Consiglio e il Tribunale Speciale.
Ma il nuovo governo, in un radiocomunicato trasmesso la sera del 25 luglio, annunciò anche la prosecuzione della guerra al fianco dei tedeschi.
Si intensificarono, tuttavia, i contatti tra governo italiano e Alleati per patteggiare l'uscita dell'Italia dalla guerra.
Bibliografia e approfondimenti: