Luciano Manzi, ex partigiano piemontese, ricorda la vita da “ribelle” nella zona dell’Oltrepò pavese.
Si legge nella sua autobiografia, Una vita per gli ideali di libertà e socialismo (AGIT, Beinasco (TO) 2003):
“La Brigata che mi accolse con altri dei dintorni aveva il suo comando in una borgata del comune montano di Zavattarello, quasi al confine di quattro regioni: il Piemonte, la Liguria, la Lombardia e l’Emilia. Una zona allora poverissima.
In formazione la vita era davvero dura, un po’ per il freddo e per il vestiario inadeguato, ma soprattutto per la fame. Eravamo pochi e male armati. La nostra era una banda partigiana costituita da una quindicina di ribelli, quasi tutti renitenti alla chiamata alle armi. All’inizio ci limitammo a compiere azioni militari contro fascisti isolati o piccoli presidi. […]
… il problema della poca pulizia portò molti incovenienti. A un certo punto del 1944 eravamo tutti, chi più chi meno, pieni di pidocchi da paglia: li chiamavamo “tigri” perchè erano robusti, avevano un punto nero sul dorso e scoppiavano se buttati nel fuoco. Li avevamo addosso ovunque, le uova si depositavano nelle cuciture delle maglie di lana o nelle mutande. Molti di noi avevano anche le piattole. Le “brutte bestie” non venivano eliminate del tutto neppure con il lavaggio degli indumenti. la mancanza di pulizia portò in certi casi anche la scabbia. […]”
La datazione del video fa riferimento al periodo in cui avvennero i fatti raccontati, dalla formazione delle prime bande partigiane nell’Oltrepò pavese fino al rastrellamento nazifascista del novembre 1944.