Simbolo nazionale del sindacalismo rivoluzionario grazie allo sciopero generale agricolo del 1908, Parma è anche la città nella quale il 23 aprile 1919 venne costituito uno dei primi Fasci di Combattimento d'Italia. La situazione cambiò radicalmente negli anni successivi: nell'estate 1921 nacque il movimento degli Arditi del Popolo che, molto forte ed esteso, rappresentò forse il momento più alto di opposizione al fascismo registrato in tutta Italia. Organizzato da Guido Picelli, socialista e dal 1924 comunista, esso aveva lo scopo della difesa contro i fascisti. Particolarmente significativa, in tal senso, fu nell'agosto 1922 la battaglia dell'Oltretorrente che, in cinque giornate di combattimenti, vide la vittoria delle forze popolari unite e la disfatta dei fascisti capeggiati da Italo Balbo. Dopo la Marcia su Roma anche a Parma prevalsero i fascisti che, per poter esercitare un controllo sociale più attento sull'Oltretorrente, rasero al suolo una parte del quartiere per poi ricostruirla in "stile littorio". Guido Picelli, arrestato nel 1926, dopo avere scontato cinque anni di confino, riuscì a raggiungere clandestinamente la Francia e poi l'Urss; morirà poi in Spagna nel dicembre 1936 combattendo contro il franchismo. La prima grande manifestazione antifascista a Parma fu condotta dalle donne il 16 ottobre 1942 ed fu una manifestazione per il pane e la pace, con altri scontri e arresti. Nella notte tra l'8 e il 9 settembre 1943, subito dopo la notizia dell'Armistizio, unità corazzate germaniche occuparono la città e i maggiori centri della provincia: dal 9 settembre Parma fu sotto il controllo dei tedeschi. Nel frattempo iniziarono le prime riunioni degli esponenti dei partiti antifascisti per dare vita al Comitato di Liberazione Nazionale provinciale, che verrà costituito il 15 ottobre 1943. La lotta di liberazione a Parma venne combattuta prevalentemente nelle vallate, sui passi appenninici e lungo le vie di comunicazione primarie e secondarie della zona pedemontana e della pianura, debordando spesso oltre i confini provinciali e investendo le province di Piacenza, Genova, La Spezia e Massa Carrara. Inoltre, l'asse stradale e ferroviario Parma-La Spezia, controllato da muniti presidi tedeschi per la sua notevole importanza strategica, tagliava l'Appennino in due zone (Est Cisa e Ovest Cisa) definendo anche i due territori d'azione della guerriglia partigiana. I primi nuclei di partigiani si formarono nella Val Ceno sul finire dell'autunno 1943. Altri gruppi si costituirono sulle montagne della zona Ovest e della zona Est tra dicembre 1943 e marzo 1944. In pianura si formarono le Squadre di Azione Patriottica, addette al sabotaggio e al supporto logistico della guerriglia, e i Gruppi di Azione Patriottica per colpire i nemici in città. Nell'estate 1944 il movimento della Resistenza, alimentato soprattutto dai giovani che rifiutavano di arruolarsi nell'esercito della RSI, ebbe la sua massima espansione, tanto che in giugno le forze partigiane controllavano intere zone appenniniche nella Val Ceno e nella Val Taro (le cosiddette "zone libere"). L'esperienza del territorio libero venne tuttavia interrotta a partire dal 15 luglio, in seguito alle azioni di rastrellamento compiute dai nazifascisti con l'impiego di circa ventimila uomini: in totale, le vittime ammontarono a 168 civili, più di 70 partigiani caduti in combattimento o passati per le armi. Nell'agosto 1944 si formarono il Comando Piazza per dirigere la lotta in città, e il Comando Unico Operativo per coordinare la guerriglia in montagna. Inizialmente composto da Giacomo di Crollalanza "Pablo", Primo Savani, Fernando Cipriani, Achille Pellizzari e Afro Ambanelli, il Comando Unico provinciale fu distrutto il 17 ottobre da un reparto tedesco a Bosco di Corniglio e riorganizzato successivamente grazie a Giacomo Ferrari, Achille Pellizzari e Leonardo Tarantini. I ripetuti tentativi dei nazifascisti di liberare la zona collinare dalla presenza partigiana ottennero il solo risultato di far diminuire temporaneamente le azioni di guerriglia, ma non di farle cessare del tutto. A partire dal febbraio 1945 queste infatti ripresero e vennero ampliate con intensità crescente. La lotta contro tedeschi e fascisti non si limitò alla montagna, ma investì anche la pianura e la città dove, soprattutto nel maggio 1944, furono condotte operazioni di recupero di armi, di sabotaggio alle vie di comunicazione ferroviarie e stradali, di interruzione delle linee telefoniche, di attacchi contro automezzi e reparti. Nella fase finale dell'occupazione le truppe tedesche operarono ancora numerose rappresaglie. Alla vigilia della Liberazione, tuttavia, il movimento partigiano fu in grado di organizzare circa undicimila uomini, inquadrati in cinque grandi unità militari. La liberazione di Parma avvenne la mattina del 26 aprile, mentre le operazioni di guerra si conclusero il giorno 29 con la resa di circa quindicimila soldati tedeschi e fascisti accerchiati nella "sacca" tra Fornovo e Ozzano Taro. Il bilancio delle perdite partigiane fu di 812 caduti e 534 feriti. Il 9 maggio le formazioni partigiane sfilarono in città tra la folla fino a piazza Garibaldi dove, alla presenza delle autorità alleate e italiane e del vescovo, parlò Giacomo Ferrari, nominato prefetto della città dal CLN. Il 9 settembre 1947 la città di Parma venne insignita della Medaglia d'Oro al Valor Militare con la seguente motivazione: "Fiera delle secolari tradizioni della vittoria sulle orde di Federico Imperatore, le novelle schiere partigiane rinnovavano l'epopea vincendo per la seconda volta i barbari nipoti, oppressori delle libere contrade d'Italia. L'impari lotta, sostenuta con la stessa fede dei padri e col sangue dei figli migliori, cominciava per merito dei primi volontari della libertà all'alba del 9 settembre 1943 e si concludeva il 25 aprile 1945 con la sollevazione del popolo tutto che, affiancando i settemila e cinquecento fratelli partigiani combattenti, costrinse alla resa e vide la fuga del nemico. L'ombra del glorioso gonfalone ornato dell'aurea gemma del valore riconosciuto dalla Patria grata, aleggia e custodisce la sacra memoria dei seicentonovanta quattro caduti con le armi in pugno per la redenzione dell'Italia, dei quattrocento sepolti sotto le macerie della città straziata dai bombardamenti aerei, che, unitamente ai cinquecentotredici feriti, mutilati e invalidi, ai ventuno dispersi, ed ai centonovanta deportati nelle gelide e mortifere lande dei paesi stranieri, costituirono la parte eletta del popolo che seppe difendere e riconquistare le patrie libertà. 9 settembre 1943 - 25 aprile 1945"
Bibliografia e approfondimenti: