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Gonzaga (MN)

Durante la Seconda Guerra Mondiale, ed in particolare negli anni dell'occupazione tedesca (1943-1945), il comune di Gonzaga, in provincia di Mantova, per la sua posizione strategica, si trovò ad essere protagonista di numerosi episodi che coinvolsero le forze nazifasciste e partigiane, nonché gli abitanti della zona. Situato sul confine con l'Emilia Romagna, nel 1944 Gonzaga fu scelto per ospitare il presidio militare tedesco, la sede del comando della VII Compagnia del Corpo ausiliario della Squadra d'azione di Camicie Nere 13° Battaglione "Marcello Turchetti", la caserma del distaccamento del 614° Comando Provinciale della GNR e il campo di transito per prigionieri di guerra Dulag 152 (avviato dopo la chiusura del campo di Fossoli di Carpi, ritenuto ormai insicuro a causa della presenza di molti reparti partigiani). Il territorio mantovano era anche considerato strategico per il passaggio dei prigionieri militari verso la Germania, percorso importante per l'eventuale ritirata tedesca e luogo sicuro per la custodia delle riserve di armamenti per la Linea Gotica. Nelle campagne circostanti Gonzaga, infatti, erano depositate notevoli quantità di munizioni a disposizione delle retrovie tedesche e i magazzini dei pezzi di ricambio per i carri armati attestati sulla Linea Gotica. È in questo contesto che maturò l'idea di un attacco alle forze occupanti da parte delle brigate garibaldine del nord-Emilia e del sud-Lombardia e che sfociò poi nell'unica battaglia urbana combattuta dalla Resistenza in Val Padana durante l'inverno 1944-1945. Nella notte fra il 19 e il 20 dicembre 1944 si concentrarono attorno a Gonzaga circa 200 partigiani provenienti dalla pianura reggiana e modenese e una ventina di locali con funzioni di guide, si spartirono i compiti e diedero quasi contemporaneamente l'assalto a tutti gli obiettivi: la caserma della GNR, il campo di transito per prigionieri e la sede della Brigata Nera. Il campo di concentramento tedesco fu liberato abbastanza rapidamente, poiché la sorpresa fu talmente efficace che le guardie non ebbero quasi il tempo di reagire. Solo pochi prigionieri, però, approfittarono della situazione per fuggire: quasi tutti rimasero sconcertati e, non sapendo da che parte andare, timorosi di essere subito catturati e quindi fucilati, preferirono attendere gli sviluppi degli eventi. L'attacco alle due caserme fasciste, invece, durò qualche ora, anche perché il mancato coordinamento degli assalitori, dovuto anche all'assenza di mezzi ricetrasmittenti, permise al reparto della Brigata Nera di trincerarsi all'interno del loro edificio (Villa Gina) e rispondere al fuoco partigiano. Alla fine dello scontro, con esito vittorioso per i partigiani, il bilancio delle vittime fu di 2 partigiani da una parte e di 19 tedeschi e 5 militi di Salò dall'altra. Nelle relazioni del comando dell'Emilia Romagna e di "Valerio" (coordinatore delle brigate garibaldine nella zona di Mantova) vennero espresse alcune critiche, soprattutto mirate allo scarso coordinamento dei tre gruppi d'attacco, ma, nel complesso, prevalse la soddisfazione per un'azione che era riuscita a riscuotere ampio prestigio tra la popolazione e a minare la sicurezza del nemico, e di cui aveva parlato anche la stampa inglese e - sembra - Radio Londra. Per rappresaglia un tribunale speciale tedesco (Korük n.514) condannò a morte 7 partigiani (6 fucilati nel poligono di tiro di Gonzaga, 1 nei pressi del cimitero di Mantova). A seguito della battaglia, il territorio dell'Oltrepo mantovano cessò di essere considerato "tranquillo e sicuro", sia dal comando dell'esercito tedesco, che dai responsabili delle milizie della Repubblica di Salò. La definitiva liberazione di Gonzaga avvenne il 22 aprile 1945. Bibliografia e approfondimenti:

  • Luigi Cavazzoli, La battaglia partigiana di Gonzaga, Marsilio, Venezia 1984;
  • Claudio Silingardi, Una provincia partigiana. Guerra e Resistenza a Modena (1940-1945), FrancoAngeli, Milano 1998;
  • Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, Giulio Einaudi Editore, Torino 2001.

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