Mercato clandestino (o borsa nera) di generi di prima necessità, soprattutto alimentari, generato da politiche irrealistiche di limitazione e controllo dei consumi privati, spesso collegate a eventi bellici. L'Italia lo sperimentò in forma drammatica e duratura in occasione della Seconda Guerra Mondiale, con particolare riferimento alla situazione alimentare.
Il regime fascista non riuscì ad assicurare le tre condizioni che altrove (ad esempio, in Germania e in Gran Bretagna) consentirono una drastica limitazione del fenomeno: una manodopera agricola sufficiente, una gestione oculata degli ammassi, un efficace sistema di razionamento. Il razionamento tardivo del pane (introdotto soltanto sedici mesi dopo lo scoppio delle ostilità), causato dalla necessità politica di dare un messaggio di normalità alla popolazione, spiega a sufficienza questa incapacità. Dalla fine del 1941 le quantità dei generi razionati non arrivarono a soddisfare che la metà del fabbisogno fisiologico. Questa situazione comportò una legalizzazione di fatto del mercato nero, che si diffuse ulteriormente a partire dal 1942 a causa dello sconvolgimento della rete dei trasporti dai bombardamenti aerei.
Il mercato nero si estese a tutti i settori merceologici e venne "ufficialmente" perseguito dalle autorità fasciste che stabilirono forti sanzioni e punizioni esemplari, compresa la pena di morte. In realtà, il mercato nero non venne mai contrastato con convinzione (e nessuno venne mai condannato a morte) perché il primo cliente era sempre il gerarca locale. La progressiva dissoluzione del regime fascista, allentando ancor più i controlli e la repressione del fenomeno, ne segnò la definiva affermazione.
Bibliografia e approfondimenti: