Essere in esilio significa stare lontano dalla propria casa (vale a dire città, stato o nazione) a causa dell'esplicito rifiuto del permesso di farvi ritorno, o sotto la minaccia di essere imprigionato o giustiziato in caso di ritorno.
Si usa comunemente distinguere tra esilio interno (o confino), ovvero il reinsediamento forzato all'interno della propria nazione di residenza, e l'esilio esterno, ovvero la deportazione al di fuori della nazione di residenza.
L'esilio fu usato dal Fascismo come forma di punizione, in particolare per gli oppositori politici del regime. Si trattava di comunisti, socialisti, demo-liberali e liberali che dal 1925 fino alla metà degli anni Trenta diedero vita ad un'opposizione sotterranea e di carattere cospirativo.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, invece, l'ampia area della penisola istriana, Zara, Fiume e le isole del Quarnaro fu al centro di un evento storico consistito nell'esilio forzato di non meno di 250.000 persone, in larga parte italiane, coinvolgendo anche una componente di popolazione slovena e croata, costrette ad abbandonare i loro territori nativi passati sotto il governo jugoslavo del maresciallo Josip Broz Tito. In realtà le autorità jugoslave non emanarono mai disposizioni formali di tipo espulsivo che obbligavano la componente italiana a lasciare il territorio, ma le stesse autorità furono responsabili di continue pressioni morali e ambientali, tali da determinare per gli italiani una situazione di invivibilità, di fronte alla quale la strada dell'esodo si presentò come l'unica via percorribile.
Bibliografia e approfondimenti: