Nata a Torino nel 1929 da genitori piemontesi, Elena aveva terminato la terza elementare quando vennero promulgate le prime leggi razziali in Italia. L’imperativo suonava chiaro: gli ebrei dovevano essere espulsi dalla scuola, “per non profanarla” come le venne spiegato da una bidella incaricata di portarle un premio di merito per i risultati scolastici. Le fu detto che aveva sì diritto al premio, un libro di mitologia “bruttissimo e fascistissimo”, ma che non si azzardasse a mettere piede a scuola per la premiazione.
All’epoca Elena non sapeva nulla né delle deportazioni né dei campi di sterminio, ma i bombardamenti su Torino le fecero presagire che la caccia agli ebrei era iniziata.
Appena quattordicenne, con la complicità del cugino e disobbedendo al padre, ha il coraggio di procurarsi documenti falsi per tutta la famiglia, grazie in particolare a figure come quella dell’impiegato dell’anagrafe Silvio Rivoir che assicurò più di settanta documenti falsi a partigiani ed ebrei. La famiglia Ottolenghi riuscì a sfuggire alla deportazione grazie al concorso di tanti amici e semplici sconosciuti.
Dopo la guerra, Elena Ottolenghi ha terminato il liceo. Laureata in scienze agrarie, ha poi insegnato all’Istituto Tecnico per Geometri di Torino. È stata nominata nel direttivo del Circolo della Resistenza quale presidente delle Opere Pie della Comunità Ebraica di Torino.