Primogenita di Francesco e Linda, Lucia Evelina Ofelia – tre nomi che la collocano già nella grande famiglia del teatro – nasce l’8 novembre 1920 ad Acquanegra sul Chiese, un paese al confine fra Mantova e Cremona, durante il giro di spettacoli che la giovane compagnia Sarzi-Allegrini va conducendo. Il suo è un destino prefigurato. Sarà nomade. Capace di uscire dal tetto. Terrà le parole in altissimo conto. Vivrà con poco. Non avrà timore dei colpi di scena. Crescerà fra le assi del palcoscenico, educata dai suoi al valore primario del sapere – lettrice appassionata per tutta la vita -, e a quell’amore di libertà che riconosce nelle piazze un luogo dello spirito.
Attrice giovane nelle compagnie che suo padre metteva insieme negli anni del fascismo, Lucia indossa come una seconda pelle quei ruoli drammatici che le consentono, grazie alla finzione scenica, di alimentare fra il pubblico la vena sotterranea dell’opposizione al regime. Vedendola fiammeggiare nei panni di Tosca gli animi ribollivano, e intorno a lei si raccoglievano gruppi di giovani ardimentosi che più tardi avrebbero costituito l’ossatura della Resistenza.
Arrestata per la prima volta ad Alessandria nel gennaio 1940 per avere ingenuamente tentato, insieme al fratello Otello, di estorcere a un industriale ebreo denaro per la causa, sconta due mesi di carcere e la condannano a due anni di ammonizione. Nel giugno di quell’anno, mentre il paese entra in guerra, la compagnia si trasferisce a Parma e lì Lucia prende contatto con il partito comunista, che le affida il compito di ricucire le fila disperse dei militanti nella vicina provincia reggiana. Ha vent’anni, e la sua azione cospirativa compie un salto di livello, coperta e propiziata dal teatro, fino a quando l’organizzazione le richiederà di diffondere stampa clandestina da Milano alla Romagna.
Fra la primavera e l’estate del ’43, presso la tipografia nascosta nelle campagne di Correggio, la giovane attrice e Giorgio Amendola, appena rientrato dall’esilio in Francia, comporranno alcuni numeri de L’Unità. Sul finire del 1941 Lucia aveva incontrato Aldo Cervi, e da quel momento in poi le due famiglie avrebbero vissuto e operato in stretta correlazione, condividendo slanci e difficoltà, fino all’epilogo tragico del dicembre 1943. Dopo l’arresto dei Cervi – che lei e Otello cercheranno invano di liberare – e la loro fucilazione, Lucia si rifugia con i suoi a Casalbellotto, nella bassa cremonese, il paese del suo futuro marito Franco Bernardelli. Ma intanto, in seguito a una delazione, viene arrestata nel febbraio del ’44, e resta in carcere a Reggio Emilia fino a luglio. Insieme a Franco raggiungerà nell’autunno i genitori e la sorella a Massa Lombarda, nel ravennate, sul fronte del Senio martoriato dalle bombe, dove nell’aprile del 1945 nasce la sua prima figlia, Tiziana, destinata a sopravvivere solo quattro mesi agli stenti della guerra.
Dopo la liberazione Lucia si stabilisce con il marito – maestro elementare – e i due bambini che nasceranno, a Camposanto sul Panaro. Lì conduce solo apparentemente una vita da casalinga, ma non rinuncia né al teatro – reciterà con le compagnie di passaggio e allestirà durante l’estate, con i fratelli e con Franco, fortunati spettacoli di burattini, come Biancaneve – né all’impegno politico, consigliere comunale nel suo paese e membro del consiglio provinciale dell’Anpi modenese.
A soli quarantotto anni, per una grave malattia, Lucia muore a Modena il 19 febbraio del 1968. Due sere prima era stato presentato in prima nazionale a Reggio Emilia il film di Gianni Puccini I sette fratelli Cervi, che avrebbe proiettato per la prima volta la sua figura – interpretata da Lisa Gastoni – a livello nazionale.
Bibliografia e approfondimenti: