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Mezzadri nella Resistenza

La mezzadria fu la principale organizzazione agrario-economica del nord Italia partendo dalla nascita fino agli anni '60 del Novecento. Dopo anni di proteste (nel XIX sec.) verso una pratica già allora considerata obsoleta, venne regolamentata definitivamente dalla Carta della Mezzadria, legge fascista del 1933. L'oppressione e l'estremo controllo sulla produzione fecero sì che la stragrande maggioranza dei mezzadri del territorio settentrionale diventassero strenui oppositori del fascismo ed esponenti della Resistenza dopo l'8 settembre 1943. Un tipo di lotta diverso tuttavia da quello che si potrebbe pensare: il mezzadro in pianura svolgeva il compito di proteggere e rifocillare tutti coloro che erano in attesa di unirsi ai partigiani armati nelle montagne e di nascondere gli alimenti dalle razzie dei Fascisti. Operarono sempre dietro le quinte, pur rischiando di perdere tutto, per permettere la riuscita di una rinascita democratica dopo l'annuncio di una morte totalitaria. 

Il mezzadro era un contadino, o più esattamente il capo di una famiglia colonica, che lavorava un podere ed era associato al proprietario del terreno tramite il contratto di mezzadria per la coltivazione del fondo rustico e l'esercizio delle attività connesse, al fine di dividere in parti uguali i prodotti e gli utili. Generalmente il contratto durava un anno rinnovabile.

Nell'economia agricola italiana, la mezzadria era diffusa soprattutto nella zona centro-settentrionale (Toscana, Umbria, Marche ed Emilia Romagna), dove aveva fortemente segnato la configurazione del territorio e il rapporto città-campagna.

In età moderna, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, si era osservata una progressiva crisi dell'istituto mezzadrile che incominciò ad apparire come un ostacolo allo sviluppo economico e come una struttura arretrata di fronte alle esigenze della moderna economia di mercato. Le famiglie mezzadrili si impoverirono progressivamente a favore di una sempre più marcata prevalenza della proprietà terriera e, negli ultimi anni del XIX secolo, non mancarono agitazioni sociali a partire dalla Valle Padana.

Con l'avvento del Fascismo negli anni del primo dopoguerra fu subito chiaro che il regime avrebbe consolidato sempre di più il padronato. Venne infatti elaborata la Carta della Mezzadria e, con la legge n.282 del 6 dicembre 1933, la disciplina del contratto di mezzadria fu fatta aderire pienamente alla struttura e alle finalità dello stato corporativo. Lo Stato sanzionò con la legge quanto le violenze squadriste avevano imposto con il terrore. In altre parole, il fascismo aggravò le condizioni di vita nelle campagne esasperando i contrasti di classe: situazione, questa, che favorì la ripresa della penetrazione ideale e politica del socialismo e del comunismo tra le masse mezzadrili, in particolare nell'Italia centrale.

Durante la Seconda Guerra Mondiale il fascismo esercitò sui piccoli produttori agricoli una pressione insopportabile. In quanto unica fonte di approvvigionamento e di sostentamento per le popolazioni sfollate dalle città bombardate e prive di ogni risorsa, contadini e mezzadri furono sottoposti ad una politica di ammassi obbligatori e di requisizioni che andarono a gravare su condizioni molto difficili che in alcuni casi sfociarono in episodi di resistenza e di opposizione al regime già nella prima metà del 1943.

L'8 settembre pose ai mezzadri, come a tutti i lavoratori italiani, nuovi impegnativi problemi. In tutta l'Italia centrale soldati sbandati dell'Esercito Regio e prigionieri di guerra alleati fuggiti dai campi di prigionia trovarono rifugio nei poderi, nelle cascine, in attesa di unirsi alle formazioni partigiane.

Verso la fine del 1943, con i bandi di chiamata da parte della Repubblica di Salò, decine di migliaia di renitenti dovettero cercarsi un nascondiglio sicuro. È da questo momento che si può affermare che i mezzadri, ad eccezione di qualche caso individuale, nella loro totalità non solo non aderirono al fascismo repubblicano, ma lo combatterono con ogni mezzo possibile. Inoltre, il fatto che le campagne dell'Italia centrale fossero interamente divise in poderi costituì la condizione ambientale per una profonda compenetrazione fra attività partigiana e mezzadri.

Ai contadini fu affidato il compito di impedire le razzie dei fascisti e dei tedeschi e, nello stesso tempo, assicurare i rifornimenti alimentari necessari per il movimento partigiano che andava progressivamente sviluppandosi in montagna. In Emilia Romagna, però, la grande crescita delle formazioni dette luogo anche alla nascita di un vero e proprio esercito di pianura.

Ma la storia della Resistenza mezzadrile è legata soprattutto a quella che è stata denominata "battaglia del grano della Resistenza", ovvero la lotta per una diversa ripartizione del raccolto con il proprietario terriero e, soprattutto, per conservare i prodotti agricoli e consegnarli ai comandi partigiani. In questo ambito, un ruolo fondamentale fu svolto dai CLN locali che lanciarono appelli ai contadini e costituirono comitati di difesa nelle campagne.

Nella lotta armata in difesa delle risorse alimentari necessarie alle masse popolari e ai combattenti partigiani si consolidò la coscienza politica dei contadini e si cementò l'unità tra movimento operaio e lavoratori delle campagne: un fatto storico che sarà alla base di tutte le grandi lotte sociali e politiche del dopoguerra.

L'istituto mezzadrile venne abolito nel 1964 con una legge che vietava la stipulazione di nuovi contratti. Tuttavia, la figura del mezzadro scomparve definitivamente solo nel 1982 quando un'ulteriore legge dispose che a tutti i contratti agrari aventi per oggetto la concessione di fondi rustici (compresa, quindi, la mezzadria) sarebbe stata comunque applicata la disciplina del contratto di affitto dei fondi rustici (cosiddetta "riconduzione all'affitto").

Bibliografia e approfondimenti:

  • Arrigo Boldrini, Enciclopedia della Resistenza, Teti Editore, Milano 1980;
  • Luigi Arbizzani, La mezzadria classica in Emilia Romagna tra la fine del nazifascismo e gli anni dei governi di unità nazionale 1944-1947, Il Mulino, Bologna 1981;
  • Pietro Secchia, Enciclopedia dell'Antifascismo e della Resistenza, Ed. La Pietra, Milano 1976;
  • Istituto Alcide Cervi (a cura di), Le campagne italiane e la Resistenza, Grafis Edizioni, Bologna 1995;
  • Enzo Collotti, Renato Sandri, Frediano Sessi (a cura di), Dizionario della Resistenza, 2 voll., G. Einaudi Editore, Torino 2001.

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