Immerso nella campagna reggiana, a ridosso della città di Reggio Emilia, il comune di Campegine, grazie a questa sua posizione, è stato punto strategico nel periodo della Resistenza in quanto facilmente raggiungibile dalle ville della città attraverso vie di comunicazione alternative nella campagna del luogo. Il paese è inoltre circondato da piccole frazioni, proprie e dei paesi circostanti, che nel biennio 1943-1945 sono state spesso la base per l'organizzazione di azioni di lotta, nonché luoghi di latitanza e, talvolta, di reclusione. È sufficiente posare lo sguardo sulla targa posta ai piedi del monumento dei Caduti del Macinato, che rievoca l'episodio più cruento a livello nazionale relativo ai gravi disordini che percorsero il nascente Regno d'Italia dovuti all'introduzione della tassa sulla macinazione dei cereali, per capire quale sia stato da sempre l'impegno dei cittadini in ambito sociale. A Campegine, in quel doloroso 1° gennaio 1869, la popolazione si ribellò all'iniqua tassa sul pane, tanto che sulla piazza furono colpiti a morte dai granatieri otto cittadini, tra cui un ragazzo di 13 anni. Qui ebbe inizio la lunga lotta del comune di Campegine che nei decenni successivi si consolidò sempre più con il Partito Socialista prima, e Comunista poi: un forte attaccamento ad ideali che, nonostante il repentino cambiamento del clima politico dell'Italia, sono testimoniati dall'alto tributo che Campegine diede nel corso della Grande Guerra sino all'avvento del fascismo. Nel contesto delle lotte partigiane e della Resistenza al nazifascismo va indubbiamente ricordato il ruolo dei sette fratelli Cervi, impegnati nella Resistenza dopo l'8 settembre 1943, ma già convintamente antifascisti molto prima dell'Armistizio e attivi per riscattare la tradizionale famiglia contadina relegata al lavoro della terra in condizioni assolutamente precarie e sfavorevoli per la maggior parte delle persone. Basti ricordare la famosa "pastasciutta antifascista" del 25 luglio 1943: i Cervi ed altri antifascisti locali trasportarono quintali di pasta in bianco in piazza a Campegine per festeggiare con l'intera popolazione la caduta del fascismo e, come allora si pensava, la fine della guerra (la tradizionale "pastasciuttata" viene ripetuta ancora oggi, puntualmente, ogni 25 luglio presso il Museo Cervi). Assieme ai Cervi, altre famiglie si adoperarono in senso antifascista: molti dissidenti vennero colpiti dallo stato di polizia che il regime distese sulla vita pubblica degli italiani. Tra le persone che si attivarono in seno alla Resistenza si annovera la figura di Didimo Ferrari, nome di battaglia "Eros". Nato in Francia il 12 maggio 1912, trascorse la sua infanzia a Campegine dove, giovanissimo, entrò a far parte dell'organizzazione comunista clandestina. Venne arrestato per le sue idee politiche una prima volta, non ancora ventenne, e quasi subito rilasciato. Nel 1934 venne arrestato nuovamente e mandato al confino per cinque anni a Ponza e alle Tremiti. Caduto il fascismo, tornò a Campegine dove fu tra i primi a organizzare la resistenza. Nell'inverno 1944 dopo essere evaso dall'ennesima incarcerazione, ricevette dal CLN l'incarico di commissario politico per le formazioni partigiane sull'Appennino reggiano-modenese. "Eros" si occupò successivamente dell'organizzazione della vita civile nella zona liberata, ribattezzata Repubblica di Montefiorino, promuovendo l'opera di democratizzazione delle Amministrazioni comunali. Il nome di un altro campeginese, Riccardo Cocconi, è stato più volte citato nella controversa questione della Resistenza emiliana. Al fianco di Didimo Ferrari in Appennino con il ruolo di vice comandante, fu accusato di "doppiogiochismo" e di aver tradito i fratelli Cervi. La sua figura attende tutt'ora una più approfondita analisi storiografica per comprendere il complesso quadro della Resistenza reggiana attorno alla vicenda Cervi. Sarebbe però erroneo limitare la resistenza di Campegine alla sola storia dei fratelli Cervi. L'albo dei partigiani campeginesi conta infatti 236 tra uomini e donne che hanno rischiato la loro vita in nome dell'Antifascismo, senza contare i tanti che, pur avendo dato un contributo fondamentale, non sono stati ufficialmente citati in nessun registro. Tra questi, giusto per ricordarne alcuni, la famiglia Conti di Valle Re insieme alle famiglie Giovanardi, Lusuardi, Manghi e Tagliavini. Consultando gli albi che censiscono le generalità delle persone che hanno dato il loro contributo, si contano famiglie intere attivamente coinvolte nella lotta di resistenza, alle cui azioni è doveroso rendere omaggio. Bibliografia e approfondimenti: