“Benito Mussolini è di robusta costituzione fisica, sebbene malato di sifilide. Questa robustezza gli permette di dedicarsi ininterrottamente al lavoro. Dorme fino a tardi al mattino, esce di casa a mezzogiorno e vi fa ritorno solo alle tre del mattino … Queste quindici ore, salvo una breve pausa per il pranzo, sono dedicate all’attività giornalistica e politica […]. È un emotivo e un impulsivo, caratteristiche che rendono suggestivi e persuasivi i suoi discorsi sebbene, a rigor di termini, non si possa definirlo un oratore. Si tratta in fondo di un sentimentale, cosa che gli attira molte simpatie e amicizie […]. Portato alle simpatie e alle antipatie improvvise, pronto a sacrificarsi per gli amici, è tenace nelle inimicizie e negli odi. È coraggioso e audace; ha qualità organizzative, è capace di pronte decisioni, ma non è altrettanto capace nelle sue convinzioni e posizioni. Estremamente ambizioso, è mosso dalla persuasione di rappresentare una forza importante nei destini dell’Italia e deciso a farla valere. È un uomo che non si rassegna a posizioni di secondo piano.”
Con queste parole l’Ispettore Generale di Pubblica Sicurezza, Giovanni Gasti, descrisse, in un rapporto del 4 giugno 1919 indirizzato al Ministro degli Interni, la personalità del futuro capo dello stato italiano.
“L’inventore del fascismo” aveva allora trentasei anni. Era nato a Dovia di Predappio, in Romagna, nel 1883 da Alessandro, un fabbro ferraio di tradizioni bakuniniste, e Rosa Maltoni, una maestra. La sua infanzia fu quella di un ragazzo turbolento e alquanto violento e all’età di nove anni fu mandato nel collegio dei salesiani di Faenza dove studiò con profitto. Nel 1901 conseguì un diploma che lo abilitava all’insegnamento elementare. Espatriato in Svizzera (1902-1904) per sottrarsi alla leva, si sostenne facendo vari mestieri e si segnalò come acceso propagandista soprattutto sul versante anticlericale. Condannato per diserzione e poi amnistiato, rientrò a Predappio nel gennaio 1905, espletò gli obblighi di leva e si impiegò come maestro. Nel 1909 conobbe Rachele Guidi, figlia della convivente di suo padre, con la quale intrecciò una relazione duratura (si sarebbero sposati nel 1925), dalla quale nacquero cinque figli: Edda, Vittorio, Bruno, Romano e Anna Maria.
Il giovane Benito si dedicava a tempo pieno all’azione politica. Amministratore della federazione provinciale del Partito Socialista a Forlì e direttore del settimanale “La lotta di classe”, a ventisette anni era già una figura di spicco del socialismo romagnolo. Nel 1912 divenne direttore dell’“Avanti!”, quotidiano socialista, al quale impose subito una linea rivoluzionaria.
Convinto anti-interventista negli anni della guerra di Libia, nel giugno 1914 Mussolini fu l’organizzatore della “settimana rossa”, l’ondata di proteste a carattere rivoluzionario che sconvolse l’Emilia Romagna, e quando scoppiò la Prima Guerra Mondiale assunse una posizione di risoluto neutralismo. Nell’ottobre dello stesso anno finì però con lo schierarsi per l’impegno bellico a fianco dell’Intesa e, espulso per questo dal partito, fondò un nuovo giornale, “Il Popolo d’Italia”, e si avvicinò al nazionalismo.
L’ex maestro romagnolo partecipò alla guerra con il grado di caporale dei bersaglieri, e combatté valorosamente sull’Isonzo, ma nel 1917 restò ferito in un’esercitazione e venne riformato. Tornato a Milano, riprese la direzione del “Popolo d’Italia” conducendo, sulle colonne del foglio, un’accanita campagna contro il neutralismo.
Nell’immediato dopoguerra, cavalcando lo scontento per la “vittoria mutilata” dell’Italia, fondò i Fasci Italiani di Combattimento (Milano, 23 marzo 1919), che però subirono una secca sconfitta elettorale. Accentuò allora i motivi antisocialisti e si candidò come garante dell’ordine, ricevendo l’appoggio di agrari e industriali e il consenso di settori dei ceti medi. Alcune formazioni politiche pensarono di poter utilizzare lo squadrismo fascista come mezzo per battere il movimento operaio e contadino e gestire poi una situazione normalizzata, ma sottovalutarono le doti e l’intuito politico di Mussolini.
Nell’aprile 1921 il movimento elesse oltre trenta parlamentari, tra i quali lo stesso Mussolini, e nel novembre successivo l’ingrossarsi delle sue fila determinò la costituzione del Partito Nazionale Fascista (PNF).
Nell’ottobre 1922, con la prova di forza della Marcia su Roma e l’ascesa al potere del fascismo, ebbe inizio un periodo nel quale la vita di Mussolini si confuse in pratica con quella del regime.
La legge elettorale maggioritaria, unita alla violenza squadrista, garantì poi al fascismo la maggioranza assoluta in Parlamento (1924). Dopo l’assassinio di Matteotti, fu rivendicato (gennaio 1925) l’uso della forza contro gli oppositori e si diede inizio alla vera e propria dittatura, con l’approvazione delle Leggi fascistissime (1925-1926) e l’accentramento del potere nelle sole mani di Mussolini. Fu lui stesso a rafforzare in seguito le sorti del fascismo e il suo prestigio personale con la firma dei Patti Lateranensi (1929) e la costruzione di un regime centrato sul culto del capo (duce) e delle sue doti demagogiche. Sembra che persino Hitler all’inizio lo ammirasse per la sua capacità di affascinare le folle e se ne servì come modello.
Con l’evolvere di rapporti di forza in favore della Germania, a partire dal 1937-1938, fu Mussolini, sia pure inconsapevolmente, a diventare di fatto il vassallo del Führer.
Per quanto riguarda la politica estera, nel 1935 Mussolini decise di occupare l’Etiopia, provocando l’isolamento internazionale dell’Italia. Appoggiò i franchisti nella Guerra Civile Spagnola e con la firma del Patto d’Acciaio nel 1939 sancì l’alleanza con Hitler e la Germania nazista.
Dopo l’aggressione tedesca alla Polonia (settembre 1939), Mussolini temporeggiò finché non gli parve sicura la vittoria dell’alleato nazionalsocialista e, desideroso di essere parte attiva nel disegnare il futuro assetto europeo, nel 1940 decise di intervenire e dichiarò allora guerra alla Francia e alla Gran Bretagna.
Gli insuccessi della sua opera di comandante supremo – carica che nel maggio 1940 gli era stata ceduta dal re –, la constatazione di aver perso ogni controllo della situazione che andava precipitando dopo le spedizioni le spedizioni di Grecia e Russia e l’occupazione alleata di parte dell’Italia (prima delle potenze dell’Asse a soccombere all’assalto degli Anglo-americani) decretarono la fine del regime nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 quando il Gran Consiglio del Fascismo votò a maggioranza l’ordine del giorno Grandi che esigeva la fine del potere personale di Mussolini e chiedeva al re di “assumersi da solo tutte le supreme iniziative decisionali”.
Fatto arrestare dal re, trasferito in stato di fermo prima a Ponza, poi alla Maddalena, e infine al Gran Sasso, Mussolini fu liberato per ordine di Hitler il 12 settembre 1943 da un commando guidato da Otto Skorzeny e portato in Germania.
Ultimo atto del fascismo fu la Repubblica Sociale Italiana, che il duce costituì a Salò, sul lago di Garda, e che fin dalla nascita fu uno stato satellite del Terzo Reich.
Nel gennaio 1944 Mussolini lasciò che un tribunale speciale insediatosi a Verona condannasse a morte il suo stesso genero, Galeazzo Ciano, insieme a quattro congiurati del 24 luglio (Emilio De Bono, Giovanni Marinelli, Carlo Pareschi e Luciano Gottardi), tutti fucilati alla schiena l’11 gennaio.
Gli ultimi giorni del fascismo repubblicano trascorsero in un clima di odio e guerra civile, contrassegnato dalle feroci repressioni della Guardia Nazionale Repubblicana (GNR), nuovo nome della Milizia, di fatto una forza ausiliaria della Wehrmacht e della SS.
La crisi militare dell’Asse, gli scioperi operai del 1943-1944 e il movimento di Resistenza determinarono la fine anche della RSI.
Al crollo della Linea Gotica, Mussolini si trasferì a Milano (17 aprile 1945) e tentò di contrattare la propria incolumità con il Comitato di Liberazione Nazionale. In fuga verso Como, in divisa da soldato tedesco, fu arrestato dai partigiani mentre tentava di raggiungere la Svizzera e fucilato nei pressi di Dongo per ordine del CLN il 28 aprile 1945. Il suo cadavere, insieme a quelli della sua amante Claretta Petacci e di altri gerarchi fucilati, fu portato a Milano e appeso in piazzale Loreto, nello stesso luogo dove erano stati in precedenza fucilati e poi lasciati a lungo esposti quindici partigiani.
L’esposizione del cadavere di Mussolini fu il simbolo della fine del fascismo.
Bibliografia e approfondimenti:
– Pietro Secchia (a cura di), Enciclopedia dell’Antifascismo e della Resistenza, Edizioni La Pietra, Milano 1976;
– Dizionario di storia, Bruno Mondadori Editore, Milano 1995;
– Pierre Milza, Serge Berstein, Nicola Tranfaglia, Brunello Mantelli, Dizionario dei fascismi. Personaggi, partiti, culture e istituzioni in Europa dalla Grande Guerra a oggi, Bompiani, Milano 2002.