(21 aprile 1927) La Carta del Lavoro fu uno dei documenti più importanti del Corporativismo fascista, emanata dal Gran Consiglio del Fascismo. Racchiudeva al suo interno l'insieme di norme e valori ispiratori dell'ordinamento sindacale-corporativo fascista. Non ebbe valore giuridico fino al 1941 e venne abolita definitivamente nel '44.
In trenta dichiarazioni programmatiche sintetizzava i principi fondamentali dell'ordinamento sindacale-corporativo fascista: la preminenza dell'interesse della produzione nazionale, il sindacato unico come organo dello Stato, la Magistratura del lavoro per la conciliazione delle controversie tra datori e prestatori d'opera. Stabiliva inoltre le norme principali per la formazione dei contratti di lavoro e assegnava agli organi corporativi la sorveglianza sull'applicazione delle leggi a tutela del lavoro e lo sviluppo delle assicurazioni sociali.
Emanata il 21 aprile 1927, e benché pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, non ebbe valore giuridico fino al 1941, quando fu inserita tra i principi generali dell'ordinamento giuridico, con valore non percettivo ma interpretativo delle leggi vigenti. Tuttavia, la Carta del Lavoro già dal 1928 divenne fonte di norme giuridiche in base a due decreti che imponevano ai sindacati di ispirarsi nella contrattazione ai suoi dettami e autorizzavano il governo a darle completa attuazione. Il sistema corporativo da essa preconizzato fu avviato solo nel 1934.
La Carta del Lavoro venne abolita nel 1944.
Bibliografia e approfondimenti: