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Alcide Cervi
Nato a Campegine (RE)

il   06/05/1875

Morto a Sant'Ilario d'Enza (RE)

il   27/03/1970

Ultimo di quattro figli, di cui uno adottivo, Alcide Cervi nasce a Campegine (RE) il 6 maggio 1875 da Agostino e Virginia Cocconi.
Nel 1869 il padre era stato uno dei protagonisti dei moti contro la tassa del macinato, che proprio a Campegine avevano avuto un esito tragico con la repressione e la morte di otto persone. Agostino, invece, passa sei mesi in carcere.
Dal 1893 Alcide e la sua famiglia lavorano a mezzadria un podere in località Tagliavino di Campegine.
Nel 1899 sposa Genoeffa Cocconi e tra il 1901 e il 1921 nascono nove figli, sette maschi e due femmine: Gelindo, Antenore, Diomira, Aldo, Ferdinando, Rina, Agostino, Ovidio ed Ettore.
Nel 1920 Alcide esce dalla famiglia patriarcale del padre Agostino per formare la propria e si trasferisce come mezzadro su un fondo a Olmo di Gattatico. Nel 1925 la sua famiglia si sposta su un fondo in località Quartieri, nella tenuta Valle Re di proprietà della contessa Levi Sottocasa, nel comune di Campegine. Infine, nel 1934 Alcide Cervi e i figli, ormai tutti in età da lavoro, decidono di prendere un podere in affitto in località Campi Rossi, nel comune di Gattatico.
È un passo importante che permetterà ai Cervi di lasciare la condizione di mezzadri e finalmente provare a realizzare le loro idee di rinnovamento agricolo. Ma soprattutto è uno dei segni distintivi di questa famiglia che, nonostante sia riconducibile al modello patriarcale delle campagne emiliane, presenta alcuni tratti di originalità: il protagonismo dei figli, la forte personalità della madre, la tendenza a prendere assieme le decisioni.
L’importanza pratica di Alcide quale reggitore viene man mano diminuita dalla crescente specializzazione dei figli nei diversi settori delle attività produttive contadine: i lavori agricoli, l’allevamento, la produzione del vino, ecc.
Non manca già da ora l’impegno di Alcide nella vita sociale: di famiglia profondamente religiosa, è “confratello” delle parrocchie di Campegine e di Olmo e nel 1921 si iscrive al Partito Popolare Italiano.
Tuttavia, negli anni Trenta e nei primi anni Quaranta, saranno i figli i veri protagonisti delle vicende che segneranno la storia della famiglia.
Attraverso Aldo, i fratelli abbracciano gli ideali di giustizia e di impegno che ben presto si traducono in attività di propaganda antifascista e diffusione clandestina. Col lo scoppio della guerra, poi, essi diventano un solido punto di riferimento per l’antifascismo locale.
Il 1943 è l’anno decisivo per la storia dei Cervi, a partire dal 25 luglio quando la caduta del regime fascista viene festeggiata con una grande “pastasciuttata” in piazza a Campegine.
Con la firma dell’Armistizio e l’occupazione tedesca del suolo italiano, i fratelli Cervi si gettano subito nella lotta ponendo le basi del futuro movimento partigiano nella zona ovest della pianura reggiana. La loro casa diventa base operativa e rifugio sicuro, mentre sul territorio iniziano le prime azione della “banda” dei Cervi.
A seguito di uno scontro e dell’incendio della loro abitazione, il 25 novembre 1943 vengono catturati dai fascisti, insieme ad altri compagni, e portati al carcere dei Servi a Reggio Emilia.
Anche Alcide viene preso e portato prima al carcere dei Servi di Reggio Emilia e poi al carcere di San Tommaso.
Il 28 dicembre 1943, giorno dopo l’uccisione del Segretario Comunale del Fascio di Bagnolo in Piano, Davide Onfiani, la Guardia Nazionale Repubblicana attua la sua rappresaglia e i sette fratelli Cervi, insieme al compagno partigiano Quarto Camurri, vengono fucilati al Poligono di tiro di Reggio Emilia.
Alcide, ignaro di quello che sta succedendo ai figli, è ancora in prigione, e riuscirà a fuggire solo l’8 gennaio 1944 a seguito di un bombardamento che colpisce il carcere di San Tommaso.
Tornato a casa, ai Campi Rossi, la moglie Genoeffa, le figlie e le nuore per lunghe settimane gli tengono nascosta la notizia.
Quando verrà a sapere della sorte toccata ai figli, nonostante il duro colpo, Alcide decide di andare avanti, sostenuto validamente dal nipote Massimo Cervi che si trasferisce nella loro casa per aiutare la famiglia nella conduzione del podere. Non c’è tempo per piangere, ora ci sono quattro vedove e undici bambini da crescere.
Alcide, che sopravvivrà anche alla moglie Genoeffa morta il 15 novembre 1944, diventa il simbolo dei dolori dei contadini e porta la testimonianza della storia dei suoi figli, vicenda che esprime il carattere popolare della Resistenza e rinnova la memoria collettiva.
Il 7 gennaio del 1947 viene insignito delle sette Medaglie d’Argento al Valor Militare alla memoria dei suoi sette figli, mentre la sua casa diventa meta di quanti vogliono incontrarlo, conoscere la storia dei suoi figli e rendere omaggio al loro sacrificio.
Papà Cervi – come affettuosamente è ricordato da tutti – morirà il 27 marzo 1970, a 95 anni. Di lui rimane soprattutto il ricordo del vecchio saggio e buon contadino: la vecchia quercia che non muore anche se le tagliano i rami.

Bibliografia e approfondimenti:
– Alcide Cervi, I miei sette figli, (a cura di Renato Nicolai), Editori Riuniti, Roma 1955;
– Margherita Agoleti Cervi, Non c’era tempo per piangere, CGIL 1994;
– Paola Varesi, Claudio Silingardi, Il museo Cervi tra storia e memoria. Guida al percorso museale, Edizioni Istituto Alcide Cervi 2003;
– Istituto Cervi. Luogo di memoria e di ricerca per la storia della Resistenza e della cultura contadina, Reggio Emilia, Provincia di Reggio Emilia 2008;
– AA.VV., I Cervi. Scritti e documenti, ANPI Reggio Emilia, 1973;
– Liano Fanti, Una storia di campagna. Vita e morte dei fratelli Cervi, Camunia, 1990;
– Aldo Ferretti (Toscanino), I Cervi, le idee, l’azione, ANPI Reggio Emilia, 1979;
– Antonio Greppi, I sette fratelli, Tecnograf, Reggio Emilia 2004.


Fonti
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