Ndarugu è una località nella Provincia Centrale del Kenya, in Africa. Durante il secondo conflitto mondiale gli Inglesi aprirono in questa zona un campo per prigionieri di guerra, dove furono internati anche numerosi soldati italiani. Prima dell'8 settembre 1943, infatti, le sconfitte militari italiane in Africa, in Unione Sovietica e in Sicilia avevano prodotto un elevato numero di prigionieri: oltre 600.000 furono i soldati italiani rinchiusi nei campi di prigionia francesi, inglesi, americani e russi. Gli italiani catturati dagli Inglesi in Africa settentrionale e in Etiopia furono circa 400.000: essi vennero prima accentrati nelle località di Tripoli, Algeri e Orano e, successivamente, smistati in Gran Bretagna, Sud Africa, Kenya, India, Australia. I prigionieri furono sfruttati come manodopera per i lavori più umili e, sebbene le condizioni di vita nei campi alleati fossero piuttosto accettabili, non mancarono decessi dovuti al lavoro forzato e a vessazioni di ogni genere. Un grosso contingente di militari italiani fu imprigionato in Kenya, dove gli Inglesi provvidero a trasferire la maggior parte delle truppe sconfitte dell'Africa Orientale Italiana (AOI), insieme al vicerè Amedeo di Savoia, poi morto in prigionia, e al generale Guglielmo Nasi. Altri prigionieri vennero inviati nei campi del Sudan. Nell'estate 1942 risultavano prigionieri circa 70.000 italiani, fra cui 5.000 ufficiali e qualche migliaia di civili classificati come reclusi politici. Ad eccezione di Amedeo di Savoia, Nasi e pochi altri ufficiali, cui fu destinata una villa a Donyo Sabouk, gli ufficiali vennero divisi fra i campo di Eldoret e di Londiani, mentre soldati e sottufficiali vennero ripartiti nei campi di Nairobi, Burguret, Gil Gil, Naivasha, Ndarugu, Nakuru, Naniuki, Ginja, Mitubiri, con i loro distaccamenti di Kisumu, Kitale, Kajado, Longido. La particolarità di questi campi fu che, almeno nella prima fase, le convinzioni fasciste perdurarono. Dopo l'8 settembre 1943 nei campi del Kenya nacquero nuovi contrasti tra i prigionieri, cioè tra chi divenne "badogliano" e chi preferì restare "fascista". A Ndarugu, per esempio, su 7.000 prigionieri italiani, solo 350 rimasero fedeli al Fascismo. Con la firma dell'Armistizio, però, i prigionieri italiani, salvo alcuni gruppi di ufficiali, non vennero affatto liberati: per gli Alleati essi rappresentavano una riserva di manodopera a basso costo. Denominati con l'appellativo dispregiativo di "Wops", derivante dall'anagramma di "Pows" (Prisoners of War) e dalla trasposizione inglese del termine "guappo", gli italiani continuarono a lavorare nell'attesa della liberazione. Bibliografia e approfondimenti: